Sant’Antonio di Padova

Sant'Antonio di Padova

Il pane di Sant’Antonio

Da sabato 10 giugno a martedì 13 giugno 2023, distribuzione del pane benedetto di Sant’Antonio, al termine delle messe:

  • sabato ore 18:30
  • domenica ore 8:30, 10:00, 11:30 e 18:30
  • lunedì ore 7:30, 9:00 e 18:30

Papa Pio XI amava esclamare: “Il mondo è pieno dei miracoli che si ottengono per intercessione di S. Antonio”. E anche per la tradizionale distribuzione del cosiddetto “Pane di Sant’Antonio”, tutto ebbe inizio proprio con un miracolo che vide protagonista un bambino, il piccolo Tommasino, un fanciullo di venti mesi che visse a Padova nel tempo in cui si stava costruendo la basilica dedicata al santo.


Il racconto del miracolo di Tommasino

Ma lasciamo raccontare questo episodio, dalle vive parole della leggenda cosiddetta Rigaldina, scritta verso la fine del secolo XIII dal minorita Jean de Rigaud o de Rigault, che narra le vicende legate al santo di Padova:

“Un bimbo di venti mesi, di nome Tomasino, i cui genitori avevano l’abitazione vicino alla chiesa del beato Antonio, in Padova, fu lasciato incautamente da sua madre accanto ad un recipiente pieno d’acqua. Si mise a fare nell’acqua giochi infantili e forse, vedendoci riflessa la sua immagine e volendo inseguirla, precipitò nel recipiente testa all’ingiù e piedi in alto. Siccome era piccino e non poteva sbrogliarsi, ben presto vi rimase affogato. Trascorso breve tempo, la madre ebbe sbrigate le sue faccende, e vedendo la lontano i piedi del bimbo emergere da quel recipiente, si precipitò urlando forte con voce di pianto e trasse fuori il piccino. Lo trovò tutto rigido e freddo, perché era morto annegato. A tale spettacolo gemendo di angoscia, mise sossopra tutto il vicinato con i suoi lamenti ad alta voce. Molte persone accorsero sul posto, e tra queste alcuni frati minori insieme con operai, che a quel tempo lavoravano a certe riparazioni nella chiesa del beato Antonio. Quando ebbero veduto che il bambino era sicuramente morto, partecipando alla sofferenza e alle lacrime della madre, essi si ritirarono come feriti dalla spada del dispiacere. La madre tuttavia sebbene l’angoscia le straziasse il cuore, prese a riflettere sugli stupendi miracoli del beato Antonio, e ne invocò l’aiuto onde facesse rivivere il figlio morto. Aggiunse anche un voto: che darebbe ai poveri la quantità di grano corrispondente al peso del bimbo, se il beato Antonio lo avesse risuscitato. Dal tramonto fino alla mezzanotte il piccolo giacque morto, la madre continuando senza sosta ad invocare il soccorso del beato Antonio e replicando assiduamente il voto, allorché, – cosa mirabile a dirsi! – il bimbo morto riebbe vita e piena salute”.


Vita di Sant’Antonio – scritta da fr. Nazzareno

In occasione delle celebrazioni del 2022 per Sant’Antonio nel nostro Santuario di San Giuseppe Sposo, fr. Nazzareno ci ha preparato questa bella “lezione” su Sant’Antonio che pubblichiamo a seguire e che diamo in collegamento per il download link.

La società al tempo di Sant’Antonio

Il Medioevo nel XII-XIII secolo vedeva l’Europa scossa da profondi cambiamenti: la nascita della società urbana e dei Comuni, l’aumento della produzione agricola e la conseguente aumento della popolazione, la maggior mobilità delle persone con la ripresa di commerci sempre più estesi. Artigiani e commercianti, notai e medici, mercanti e banchieri iniziavano a dar vita a una nuova classe sociale: la borghesia, che andava ad aggiungersi ai cavalieri, al clero e ai nobili, oltre alla gente più povera. In questo contesto si colloca la figura di Antonio di Padova.

I primi anni di vita

La tradizione ci attesta che i genitori del futuro Antonio si chiamavano Martino de Bulhões e Maria Taveira, abitanti nobili nella città di Lisbona, in Portogallo. Al loro primo figlio, nato il 15 agosto con ogni probabilità dell’anno 1190 o 1195, al fonte battesimale fu posto il nome di Fernando, un nome di origine
germanica, che significa “audace, coraggioso nella pace”. Della sua infanzia non si conosce pressoché nulla. La residenza della famiglia era nei pressi della cattedrale di Lisbona, per cui sembra attendibile pensare che ebbe come maestri i Canonici della Cattedrale per la sua inziale formazione culturale e spirituale. Forse fu anche educato alla carriera delle armi, come era tradizione dei nobili.

Tra i canonici agostiniani

All’età di 15-18 anni, fece la scelta di entrare tra i Canonici Regolari che osservavano la Regola di Sant’Agostino, nel monastero di San Vincenzo di Fuori, appena fuori le mura di Lisbona. Qui rimase per circa due anni, dedicando tutto se stesso alla preghiera e allo studio. Tuttavia, non sopportando le continue visite degli amici di gioventù, chiese di trasferirsi in un altro monastero, per meglio prepararsi a ricevere gli ordini sacri. Così affrontò un viaggio di 230 chilometri, tale era la distanza tra Lisbona e Santa Cruz, in Coimbra, allora la capitale del Portogallo, un viaggio tutt’altro che facile, fatto per lo più a piedi. Il nuovo monastero era formato da una numerosa comunità di circa 70 religiosi. Fernando si dedicò completamente allo studio, e così, nel silenzio e nella preghiera, poté approfondire la sua formazione nelle scienze umane, teologiche e bibliche. Per temperamento era un uomo che non amava le tipiche manifestazioni esteriori del tempo e preferiva vivere appartato, tenendo distante dalle lotte interne del monastero. Divenne così un uomo maturo ed esperto in ogni campo delle scienze umane e teologiche, nella Bibbia e nella teologia patristica.

Fernando sacerdote

All’età circa 25-30 anni, probabilmente nel 1220, Fernando fu ordinato sacerdote nella chiesa di Santa Cruz di Coimbra. Forse nel suo intimo pensava di darsi all’insegnamento delle Sacre Scritture agli altri monaci e alla predicazione, ma le circostanze indirizzarono la sua vita in diversa direzione.
L’intromissione del re del Portogallo, Alfonso II, nella vita del monastero, era venuta a creare due correnti contrapposte tra i monaci: da una parte coloro che sostenevano il priore nominato dal re, un priore più preoccupato dei beni del Monastero che della vita religiosa dei monaci, e dall’altra coloro che invece tentavano di vivere in maniera genuina lo spirito della Regola di Sant’Agostino, dedicandosi allo studio e alla contemplazione. Il giovane monaco
Fernando naturalmente apparteneva a questo secondo gruppo e manifestava un certo senso di insoddisfazione della vita alquanto mondana che si svolgeva nel monastero.

L’incontro con i primi martiri francescani

La vita del monastero è tutt’altro che monotona per chi la vive, in quanto ogni monaco ha la sua visione della vita con tutti i problemi e incertezze connessi a una realtà di comunità. Così era appunto la situazione del monastero di Coimbra. Fernando non faceva eccezione, e avvertiva un certo disagio e forse una profonda insoddisfazione per una vita che trascorreva senza una intensa impronta spirituale. Ma le cose sarebbero cambiate, e molto prima di quanto potesse pensare, per un evento inatteso. Nel 1219 Francesco d’Assisi aveva approvato una spedizione missionaria verso il Marocco, con l’intento di convertire i popoli musulmani dell’Africa. Il gruppo dei missionari era costituito da tre sacerdoti – Berardo, Pietro ed Ottone – e da due fratelli laici – Adiuto e Accursio -, i quali, nel viaggio verso il Marocco, passarono per il Portogallo. Quando attraversarono il territorio di Coimbra, la loro presenza suscitò grande curiosità e ammirazione tra la gente. Forse anche il monaco Fernando ne sentì lodare il coraggio ed esaltare la missione. Questi cinque frati francescani dapprima si portarono a Siviglia, in Spagna, allora invasa dai musulmani. Qui iniziarono a predicare il vangelo nelle moschee, che erano molto numerose in quel territorio. Il sultano della città, Miramolino, li fece imprigionare, non risparmiando loro bastonate e insulti, e comandando loro severamente di non predicare nel nome di Gesù.
Per evitare guai da parte della popolazione cristiana, il Sultano li fece imbarcare per il Marocco. Appena giunti, i frati, nonostante il divieto e le minacce, cominciarono di nuovo a predicare nelle moschee, per cui furono di nuovo imprigionati e sottoposti più volte alla fustigazione. Rimessi in libertà, i frati missionari, incuranti del pericolo, sfidarono le autorità del luogo e anche la suscettibilità religiosa del popolo, per cui il 16 gennaio 1220, vennero decapitati e i loro corpi furono esposti in pasto agli uccelli rapaci. I cristiani, avvertiti della cosa, raccolsero con devozione i loro resti mortali, e li inviarono in Spagna, prima ad Algesiras e poi a Siviglia, e infine a Coimbra, nel Portogallo. Qui furono collocati nella chiesa agostiniana di Santa Cruz, dove tuttora sono custoditi e venerati.

Da don Fernando a frate Antonio

La vista delle reliquie dei frati martiri ebbe un forte impatto sul popolo portoghese, ma soprattutto in Fernando, che sembrava non aspettare altro per dare un orientamento diverso alla propria vita.

Trascorsero solo pochi mesi, e nel settembre 1220, il nobile don Fernando prese la decisione di lasciare le bianche vesti di lana dei monaci agostiniani, per vestire il rozzo saio con cordone ai fianchi dei frati francescani. Abbandono lo splendido monastero di Santa Cruz e chiese ospitalità presso il romitorio presso cui vivevano i francescani, che in ricordo del famoso eremita egiziano portava il titolo di Santo Antonio de Olivares. In onore di questo santo, decise pure di abbandonare pure il nome di battesimo per assumere quello di “Antonio”, un nome di origine etrusca, che ha lo stesso significato di Fernando: “coraggioso, inestimabile che combatte per la pace”.

Antonio dovette trascorrere alquanto tempo nello studio della regola francescana, in cui egli plasmò la sua vita sul vangelo, osservato nella sua più severa radicalità. Nel cambiare la famiglia religiosa, frate Antonio intendeva ripercorrere il cammino di quei primi frati francescani missionari martiri, e divenire anche lui martire in quella terra africana. Così libero da rigide regole monastiche, si mise in viaggio, con un altro frate di nome Filippo, alla volta del Marocco. L’itinerario da lui seguito, per via terra e via mare, non ci è noto. Quando egli giunse nel territorio del sultano Miramolino, lo stesso che aveva fatto decapitare i martiri francescani, chiese di essere ospitato in casa di qualche cristiano.

Quando poi si stava accingendo a predicare il vangelo ai musulmani per le vie della città, fu colto da una malattia, forse la malaria, un male che lo accompagnerà per tutta la sua vita. Così, per potersi rimettere in salute, decise di fare ritorno in patria accompagnato da frate Filippo, senza però abbandonare il suo progetto missionario e neanche il suo desiderio di martirio.

Antonio in Sicilia

Sulla via del ritorno in direzione del Portogallo, la nave su cui si erano imbarcati fu colta da una violenta tempesta, che la ridusse a pezzi, e un forte vento la trascinò sulle coste della Sicilia, nei pressi di Milazzo (Messina). I due frati furono soccorsi da alcuni pescatori, e portati in un vicino convento francescano, dove Antonio rimase due mesi per potersi curare. Antonio, dopo tutto quello che gli era capitato, comprese che doveva abbandonarsi alla volontà del Signore, qualunque fosse, senza pretendere di stabilire lui il suo futuro.

Quando apprese che, in occasione della Pentecoste, San Francesco aveva convocato tutti i suoi frati per il Capitolo Generale, da tenersi in Assisi, dal 30 maggio all’8 giugno del 1221, nella primavera del 1221, insieme ai frati di Messina, cominciò a risalire l’Italia a piedi, per raggiungere Assisi. Per Antonio il Capitolo Generale si rivelò l’occasione per incontrare direttamente Francesco d’Assisi, di cui aveva conosciuto l’insegnamento solo attraverso testimonianze indirette.

Frate Antonio non era conosciuto da nessuno tra i 5000 convenuti al capitolo: era un frate straniero, giovane e fisicamente provato e ad Assisi passò i nove giorni dell’adunanza appartato e solingo, attento nell’osservare ciò che accadeva attorno a lui. Era uno dei tanti, e nulla aveva che lo potesse far notare. Per di più non apparteneva a nessuna comunità. Al termine del Capitolo, quando quasi tutti i frati erano già partiti per le rispettive residenze, il ministro provinciale della Romagna, frate Graziano da Bagnacavallo, lo notò e pensò di portarlo con sé. Quando poi seppe che era anche sacerdote, lo pregò caldamente di seguirlo.

Antonio eremita a Montepaolo

In compagnia di fra Graziano e di altri confratelli romagnoli, frate Antonio arrivò nell’eremo di Montepaolo presso Forlì nel giugno 1221. Trascorreva le sue giornate nell’eremo in preghiera, soprattutto quando adattò una grotta a cella tutta per lui, nella quale si ritirava per meditare. Non si sottraeva neppure nel prestarsi nel lavoro e nei più umili servizi.

Nel settembre 1222, in occasione delle ordinazioni sacerdotali di religiosi domenicani e francescani a Forlì, il superiore di Montepaolo volle che fosse rivolto ai giovani candidati un discorso esortativo. Furono interpellati vari frati, sia francescani che domenicani, ma tutti declinarono l’invito. Il superiore di Montepaolo comandò allora a frate Antonio, che era l’ultimo arrivato nella comunità, di prendere lui la parola. Frate Antonio accolse l’invito in totale obbedienza, e quella fu la prima occasione in cui egli rivelò con le sue illuminate parole una cultura teologica che nessuno immaginava: lo stupore e l’ammirazione invasero tutti i presenti, tanto che il rito dell’ordinazione passò in secondo piano di fronte alla eloquenza di quel frate sconosciuto e per di più straniero.

Antonio predicatore in Italia

Come conseguenza di quella rivelazione, iniziò per frate Antonio la missione di predicatore. Scendendo da Montepaolo, cominciò a predicare nei villaggi e nelle città della Romagna, che a quell’epoca, era una regione funestata da una guerriglia civile endemica: varie fazioni avvelenavano le città, disgregando le strutture comunali e seminando dovunque sospetti, congiure, colpi di mano e vendette. Antonio lottò con tutte le sue forze contro ogni ingiustizia, difendendo la gente umile delle città e dei villaggi da funesti estremismi. Senza sosta vagava per ogni dove esortando tutti alla pace e alla mitezza, ma nello stesso tempo trattava con particolare rigore quelli che chiamava “cani muti”, cioè i potenti e i notabili che avrebbero dovuto guidare e proteggere le popolazioni, ma di cui si disinteressavano per inseguire il proprio tornaconto economico. Così più tardi scriverà dei predicatori che tacevano di fronte a tali ingiustizie:

«La verità genera odio; per questo alcuni, per non incorrere nell’odio degli ascoltatori, velano la bocca con il manto del silenzio.
Se predicassero la verità, come la verità stessa esige e la divina Scrittura apertamente impone, essi incorrerebbero nell’odio delle persone mondane, che finirebbero per estrometterli dai loro ambienti.
Ma siccome camminano secondo la mentalità dei mondani, temono di scandalizzarli, mentre non si deve mai venir meno alla verità, neppure a costo di scandalo».

Antonio invece parlava con la gente, ne condivideva l’esistenza umile e tormentata, e alternava l’impegno della catechesi con l’annuncio della pace. Metteva al servizio della verità la sua forte parola, con un’attività apostolica tanto intensa ed efficace da indurre non poche persone che si erano staccate dalla Chiesa a ritornare sui propri passi.

“Antonio, mio vescovo”

La predicazione di Antonio suscitava grande entusiasmo, tanto da essere invitato in tutta la Romagna a predicare, fino a giungere a Bologna, dove gli venne chiesto di insegnare teologia. San Francesco d’Assisi, favorevole che i suoi frati, soprattutto se sacerdoti, si dedicassero anche allo studio della teologia, venuto a conoscenza delle straordinarie di Antonio, gli affidò il compito dell’insegnamento con queste parole: «A frate Antonio, mio
vescovo, frate Francesco augura salute. Mi piace che tu insegni teologia ai nostri fratelli, a condizione però che, a causa di tale studio, non si spenga in esso lo spirito di santa orazione e devozione, com’è prescritto nella regola»
.

Insegnante e predicatore in Francia

Nel 1224 Antonio venne inviato in Francia a Montpellier, a Limoges e ad Arles a insegnare teologia. Era quello un secolo in cui pullulavano numerose sette, nelle quali gli eretici diffondevano teorie distorte e dubbi pericolosi, in particolare l’eresia catara, particolarmente diffusa in Francia. I catari, che significa “i puri”, nel tentativo di spiegare il perché dell’esistenza del male nel mondo, sostenevano che vi fosse un contrasto insanabile tra il dio del bene, di cui parla il Vangelo, e il mondo terreno, sede del male, e che Dio avesse inviato Gesù con la missione di indicare agli uomini la via per liberarsi della schiavitù della carne e del corpo. I catari venivano a rifiutare il mondo con tutte le sue strutture che aveva creato: lo Stato, la Chiesa, e la stessa società erano da abolire. Così, per una forma estrema di ascetismo, tra i Catari il matrimonio era proibito, come era proibito mangiare la carne, e il digiuno poteva essere praticato fino alla morte, nella convinzione che la volontaria sofferenza corporale fosse il mezzo migliore per giungere a Dio.
Naturalmente questa visione della vita e del vangelo non poteva essere accettato dalla Chiesa, per cui Antonio lottò con ogni sua forza contro questa visione distorta della realtà.

Ritorno in Italia e sua dimora a Padova

Dopo tre anni fece ritorno in Italia nel 1227 ad Assisi, per partecipare al capitolo generale, ove venne nominato ministro provinciale della provincia di Romagna, che all’epoca comprendeva gran parte dell’Italia settentrionale. In seguito a tale incarico si dedicò alla predicazione, alla visita dei conventi ed alla fondazione di nuovi conventi. Ebbe anche modo di recarsi a Roma, per incontrare Papa Gregorio IX, il quale, nell’ascoltarlo, rimase talmente ammirato dalla sua preparazione teologica, dalla sua fede e dalla sua integrità morale e spirituale, da definirlo “Scrigno della Sacra Scrittura”.

Nel 1228, giunse a Padova, ove si dedicò alla predicazione e all’aiuto al popolo, e dove scrisse i “Sermones”, un trattato di dottrina sacra ricavata dalla sacra scrittura, scritti in latino medioevale, con la finalità specifica di fornire ai suoi confratelli uno strumento di formazione per la vita cristiana.

La morte

Nel 1231 si ritirò con due frati in campagna a Camposampiero, nel territorio di Padova, ospite dell’amico conte Tiso. Questi, per alleviarne i problemi respiratori, fece costruire una celletta su un albero di noce, dove Sant’Antonio si ritirava in contemplazione e in preghiera. Sotto quell’albero accorreva tanta gente, attirata dalla sua fama di santità, per vederlo e ascoltarlo.

Nella tarda primavera del 1231, frate Antonio fu colto da malore. Deposto su un carro trainato da buoi venne trasportato dall’eremo di Camposampiero a Padova, dove aveva chiesto di poter morire.

Giunto però all’Arcella, un borgo della periferia della città, lo colse la morte. Spirò mormorando: “Vedo il mio Signore”.

Era il 13 giugno. Aveva 36-41 anni (a seconda della data di nascita).

Dopo una provvisoria sepoltura presso la chiesa di Santa Maria Mater Domini a Padova, dove viveva una comunità di Clarisse, il 17 giugno il corpo del Santo venne traslato alla chiesa di Santa Maria Mater Domini, ove è poi sorta l’attuale Basilica.

Culto di Sant’Antonio

A undici mesi dalla morte, Antonio venne proclamato Santo da Papa Gregorio IX a Spoleto, anche in seguito ai miracoli avvenuti per la sua intercessione. Da qui l’appellativo attribuito ad Antonio di “Santo dei Miracoli”.

Dopo circa trent’anni, l’8 aprile 1263, alla presenza di San Bonaventura da Bagnoregio, Ministro Generale dell’Ordine Francescano, la salma venne riesumata. Con grande meraviglia ci si accorse che la lingua del Santo non si era decomposta, ma era rimasta intatta, per cui fu collocata in un prezioso reliquiario ed esposta ai fedeli. Il corpo di Sant’Antonio venne traslato alla nuova Basilica eretta in suo onore e venne deposto in un’arca marmorea.

Nel 1946 Sant’Antonio è stato proclamato da Papa Pio XII “Dottore della Chiesa Universale”.

I Sermones

Frate Antonio soggiornò alcune volte, seppure per breve tempo, a Padova e in questa sua seconda patria, frate Antonio compose i suoi famosi Sermones (“Discorsi”), intitolati rispettivamente Sermoni domenicali e Sermoni Mariani e dei Santi, destinati ai predicatori e agli insegnanti degli studi teologici dell’Ordine francescano.
In questi Sermones sono anticipate molte delle verità che successivamente diverranno patrimonio di fede della Chiesa, tra cui:

  • L’Immacolata Concezione di Maria, cioè donna preservata dal peccato originale fin dal suo concepimento. Così scrive: «La gloriosa Vergine fu prevenuta e ricolma di una grazia singolare, per poter avere nel suo seno proprio colui che, fin dall’eternità, fu il Signore dell’universo».
  • L’assunzione di Maria in cielo. Nel II sermone dell’Assunzione scrive: «Il luogo dove il Signore pose i suoi piedi, cioè la sua umanità, fu la beata Vergine Maria, dalla quale prese la carne umana. Questo luogo, oggi, è stato dal Signore glorificato, perché ha esaltato Maria al di sopra dei cori degli angeli. Da ciò si rende manifesto che la Vergine fu assunta in cielo anche con il corpo, che fu il luogo dove pose i piedi il Signore».

Sulla Beata Vergine Maria ha sempre tante pagine bellissime:

«Maria diede alla luce il figlio. Quale figlio? Il Figlio di Dio, Dio lui stesso. O donna, più felice di ogni altra, che avesti il Figlio in comune con Dio Padre! Il Padre gli ha dato la divinità, la Madre l’umanità; il Padre la maestà, la Madre l’infermità. Partorì il suo Figlio, cioè l’Emanuele, che è quanto dire: Dio-con-noi».

E ancora

«Veramente beato è questo seno, circondato di gigli, che portò te, Dio e Figlio di Dio, Signore degli angeli, Creatore del cielo e della terra, Redentore del mondo! La Figlia ha portato il Padre, la Vergine poverella ha portato il Figlio. O cherubini e serafini, o angeli ed arcangeli, in umile atteggiamento e con capo chino, adorate il tempio del Figlio di Dio, il sacrario dello Spirito santo, il grembo beato adorno di gigli, dicendo: Beato il seno che ti ha portato!».

E ancora:

«La Vergine Maria è la porta del cielo, la porta del paradiso»

Su Gesù ha parole sublimi di fede:

«Sul legno della Croce fu elevata l’umanità di Cristo, come segno della nostra salvezza. Alziamo, dunque, i nostri occhi e guardiamo all’autore della nostra salvezza, Cristo Gesù. Consideriamo il nostro Signore sospeso alla croce, trapassato dai chiodi… Come l’anima è la vita del corpo, così Cristo è la vita dell’anima. Ecco, dunque, la tua vita è sospesa alla croce! Non senti un fremito di dolore e di compassione, pensando a ciò? Se egli è la tua vita, come puoi frenarti e non essere pronto ad affrontare il carcere e la morte per lui? Cristo, che è la tua vita, sta appeso davanti a te, perché tu guardi te stesso nella croce, come in uno specchio. Nella croce potrai constatare che le tue ferite sono veramente mortali e che nessuna medicina avrebbe potuto guarirle, se non il sangue del Figlio di Dio. Se osserverai attentamente, lì potrai scoprire quanto grande è la tua dignità umana e quanto sei prezioso».

Il Pane di Sant’Antonio

Questa tradizione trova origine da un miracolo accaduto dopo la morte di Sant’Antonio durante i lavori di costruzione della Basilica a Padova. In tale periodo, un bambino di nome Tomasuccio, si appena venti mesi, era annegato in una tinozza d’acqua, perché lasciato incustodito dalla madre. La donna disperata per l’accaduto, fece il voto a Sant’Antonio che, se fosse stata esaudita nel vedere di nuovo vivo il figlio, avrebbe donato ai poveri tanto pane, raro a quel tempo sulla tavola dei poveri, per quanto era il peso del figlioletto. Dopo l’invocazione il figlioletto ritornò in vita, e la donna mantenne fede al suo voto.

Da tale episodio, per chiedere la protezione di Sant’Antonio, è nata la tradizione di offrire il pane – il pane di Sant’Antonio – in cambio di una grazia ricevuta.

ALCUNI MIRACOLI

Il miracolo della mula

È rimasto famoso l’episodio accaduto a Rimini nel 1223, noto come il miracolo della mula.

Durante un dibattito sulla presenza di Gesù nell’Eucaristia, un eretico sfidò il Santo a dimostrare con un miracolo la vera presenza di Cristo nell’ostia consacrata, promettendo che se ci fosse riuscito si sarebbe convertito. Lui avrebbe messo davanti alla sua mula digiuna di tre giorni della biada e Antonio avrebbe alzato l’ostensorio con l’ostia consacrata: se l’animale si fosse inginocchiato davanti alla particola, ignorando il cibo, si sarebbe convertito. Trascorsi i tre giorni di digiuno, Antonio si presentò con il Santissimo Sacramento, nel mentre all’asino venne offerta la biada. Antonio mostrò l’ostia alla mula e disse: «In virtù e in nome del Creatore, che io tengo tra le mani, ti ordino di avvicinarti e di prestargli la dovuta venerazione». La mula abbassò la testa e si inginocchiò davanti al sacramento del corpo di Cristo.

Il miracolo del cuore dell’avaro

Mentre Sant’Antonio predicava in una città della Toscana, si sparse la voce che era morto un famoso usuraio. Allora il Santo, che aveva predicato contro gli usurai, proclamò che l’usuraio doveva essere sepolto sotto terra come un cane, perché si era verificato quanto detto dal Vangelo, e cioè: “Dov’è il tuo tesoro, lì è anche il tuo cuore”. E così i chirurgi allora aprirono il petto dell’usuraio e lì non c’era il cuore, quindi andarono ad aprire il forziere dell’avaro e lì trovarono il suo cuore, in mezzo al denaro, come Sant’Antonio aveva profetizzato.

Il miracolo della predica ai pesci

Sant’Antonio si recò a Rimini per predicare agli eretici, ove se ne trovavano molti. Nonostante il Santo predicava, nessuno lo ascoltava, ed allora si portò in riva al mare e lì inizio a predicare ai pesci. come San Francesco aveva parlato agli uccelli. Lo stupore fu tanto perché una grande moltitudine di pesci si portarono in riva guizzando in superficie ed ascoltando le parole di Sant’Antonio. I pesci, in gran moltitudine, si allontanarono solo dopo aver ricevuto la benedizione da Sant’Antonio, e lì il popolo che aveva assistito corse per tutta la città gridando al miracolo. E così gli eretici si convertirono.

Invocazione a Sant’Antonio

Caro sant’Antonio, rivolgo a te la mia preghiera, fiducioso nella tua bontà compassionevole che sa ascoltare tutti e consolare: sii il mio intercessore presso Dio.

Tu che conducesti una vita evangelica, aiutami a vivere nella fede e nella speranza cristiana; tu che predicasti il messaggio della carità, ispira agli uomini desideri di pace e di fratellanza; tu che soccorresti anche con i miracoli i colpiti dalla sofferenza e dall’ingiustizia, aiuta i poveri e i dimenticati di questo mondo.

Benedici in particolare il mio lavoro e la mia famiglia, tenendo lontani i mali dell’anima del corpo; fa’ che nell’ora della gioia, come in quella della prova, rimanga sempre unito a Dio con la fede e l’amore di figlio. Amen.

Preghiera a Sant’Antonio per una persona malata

Caro sant’Antonio, che hai sempre beneficato quelli che fiduciosi ricorrono a te, ti prego con fervore per una persona ammalata a me tanto cara.

Ti supplico di ottenerle il dono della guarigione, o almeno che le siano alleviate le sofferenze e abbia la forza di farne l’offerta a Dio in unione alla passione di Cristo.

Tu che nella tua vita terrena fosti amico dei sofferenti e ti prodigasti per loro con la carità e col dono dei miracoli, sii vicino a noi con la tua protezione, consola il nostro cuore e fa che le nostre sofferenze fisiche e morali siano fonte di merito per la vita eterna. Amen.

Preghiera per la famiglia per intercessione di Sant’Antonio

O Dio, Padre buono e misericordioso, che hai scelto sant’Antonio come testimone del Vangelo e messaggero di pace in mezzo al tuo popolo, ascolta la preghiera che ti rivolgiamo per sua intercessione.

Santifica ogni famiglia, aiutala a crescere nella fede; conserva in essa l’unità, la pace, la serenità. Benedici i nostri figli, proteggi i giovani. Soccorri quanti sono provati dalla malattia, dalla sofferenza e dalla solitudine.

Sostienici nelle fatiche d’ogni giorno, donandoci il tuo amore. Amen.